Archeologo subacqueo


Contesto professionale


Con archeologia subacquea s’intende l’insieme delle metodologie e delle tecniche d’indagine scientifica che permettono all’archeologo di operare sott’acqua in contesti marittimi, fluviali, lacustri, lagunari ed ipogeici. L’archeologia subacquea fa parte dell’archeologia marittima, disciplina che si occupa di ricostruire il rapporto dell’uomo con il mare, nel corso dei secoli, attraverso le testimonianze materiali da lui lasciate. Si occupa quindi perlopiù di relitti di navi, ma anche di strutture sommerse quali porti, peschiere, cantieri, ricoveri per navi, ecc., senza limiti cronologici e del loro rapporto con l’ambiente, quindi, per esempio, del loro uso come marker per studiare le variazioni del livello del mare e dei movimenti delle linee costiere. L’archeologo subacqueo si occupa anche di testimonianze lasciate dall’uomo nei laghi, quali insediamenti perilacustri di età preistorica, relitti navali in laghi, fiumi o lagune, insediamenti sommersi in ambiti lagunari.

L’archeologia subacquea nasce con Nino Lamboglia negli anni ‘50, lavorando sul relitto della nave romana di Albenga (SV), quando l’archeologo, per primo al mondo, prende coscienza delle potenzialità dello studio dei carichi di anfore per la ricostruzione dei traffici commerciali in età romana. Mentre Lamboglia però non partecipò mai direttamente alle attività subacquee, non essendo un sommozzatore, l’archeologo statunitense George Bass, nel 1960, fu il primo archeologo a comprendere la necessità di dirigere in prima persona le attività sul fondo del mare. La creazione, prima, da parte di Lamboglia, del Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina di Albenga e poi, da parte di Bass, dell’Institute of Nautical Archaeology (INA), legato alla A&M University, fu di stimolo al rapido sviluppo della disciplina in ambito non solo Mediterraneo ma ben presto mondiale.

 

Nel Mediterraneo, i paesi che negli ultimi anni si sono meglio organizzati in questo settore sono, prima di tutto, la Francia, che può contare su un servizio specializzato del ministero della cultura (Département des recherches archéologiques subaquatiques et sous-marines, DRASSM) attrezzato anche con una nave equipaggiata per le ricerche archeologiche, su ricercatori in organico nel Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) e su numerosi gruppi di associazioni di volontariato ben organizzate. Istituzione specializzate di tutela sono presenti anche in tutte le regioni spagnole e in Croazia. Israele ha una lunga tradizione e può contare su un centro di ricerca in studi marittimi all’Università di Haifa. La Grecia e la Turchia si sono mosse solo di recente ma in quest’ultimo paese ha operato con risultati di grande importanza scientifica e visibilità l’INA, fondata da G. Bass.

L’Italia, dopo un periodo pionieristico che l’ha vista protagonista fino almeno agli anni Ottanta, non ha ancora superato la crisi della morte di Lamboglia. Le attività di tutela sono lasciate alle soprintendenze che non sono specializzate in questo settore anche se in Sicilia, al contrario, è operativa la Soprintendenza del Mare. Quest’anno è comunque stata istituita, almeno sulla carta, una Soprintendenza del Mare del MIBAC con sede a Taranto. La ricerca, tutto sommato, è portata avanti da pochi docenti universitari e altre figure di ricercatori. Alcune imprese specializzate operano sotto la direzione scientifica delle soprintendenze o sempre degli atenei.

 

L’archeologo subacqueo opera generalmente da imbarcazioni o pontoni attrezzati. Le strumentazioni impiegate sono perlopiù semplici attrezzature da rilevamento e documentazione fotografica. Per il rilevamento si può però fare ricorso a telai metallici leggeri. Lo scavo, ossia la rimozione dei sedimenti dal contesto archeologico, si effettua per mezzo di sorbone ad acqua o ad aria. La prima è composta da una motopompa che, attraverso una manichetta, immette acqua a pressione in un tubo nel quale si crea una condizione di risucchio da un’estremità (bocca) verso l’altra (scarico). La seconda consiste in un grosso tubo in prossimità della cui bocca viene pompata aria da un compressore che, creando una depressione, consentono di risucchiare dal sito la sabbia del fondale. Entrambi i sistemi sono utilizzati a potenze limitate per permettere una rimozione delicata dei sedimenti dal contesto archeologico. Per il recupero di oggetti possono essere utilizzati palloni di sollevamento.

Tutte le attività possono e devono essere condotte direttamente dagli archeologi, anche con l’aiuto di semplici operatori, mentre le operazioni più pesanti, quali l’installazione di una sorbona o il recupero di un manufatto pesante, vengono di prassi fatti eseguire da operatori tecnici subacquei (OTS). Almeno un archeologo deve comunque essere presente alle operazioni subacquee che sono affidate alla sua direzione anche sulla base della Convenzione Unesco sul Patrimonio Archeologico Subacqueo, ratificata dall’Italia e quindi recepita dalla legislazione del nostro paese. La direzione scientifica può comunque essere affidata ad altri enti di ricerca, quale l’Università, in base a richieste di concessione di scavo inoltrata al Ministero dei beni e delle attività culturali (MiBAC).

Documentazione fotogrammetrica con telaio

Documentazione grafica per mezzo di telaietto


Scavo con sorbona ad acqua

Percorsi formativi


La formazione passa ovviamente per le Università, dove in passato sono stati attivati corsi di laurea e master specifici. Ora chi intende studiare in questo campo può seguire gli insegnamenti offerti all’interno di corsi di laurea in archeologia o beni culturali. Università, quali quella di Ca’ Foscari di Venezia, del Salento, di Napoli orientale, di Catania, di Sassari e di Udine, organizzano attività di ricerca e scavo, nel corso delle quali gli studenti possono formarsi adeguatamente.

Non mancano corsi di introduzione all’operatività in archeologia subacquea organizzati da varie associazioni culturali o sportive. Tra i migliori sono i corsi della Nautical Archaeological Society (NAS) (organizzati dall’associazione Reitia di Conegliano) che propongo in Italia una formula didattica importata dal mondo anglosassone che ben si presta alla prima formazione degli studenti. 

La normativa in materia di Archeologia preventiva limita l’attività, perlomeno nelle operazioni di valutazione d’impatto archeologico (subacqueo), ad archeologi diplomati presso una Scuola di Specializzazione o in possesso di un dottorato in archeologia.

La A&M University offre il corso di master più prestigioso nel settore ma ottimi master sono organizzati anche all’University of Southamton, all’University of Haifa e alla Flinders University.

In Italia si sente la mancanza di finanziamenti ad hoc per attrezzare adeguatamente le equipe universitarie anche con imbarcazioni. Cronica è poi la mancanza di laboratori per il primo intervento e il restauro dei reperti provenienti dall’acqua che richiedono trattamenti immediati, lunghi e costosi. Utile sarebbe una collaborazione con altri enti meglio attrezzati con cui poter condividere gli aspetti logistici.

Sbocchi occupazionali


Operano nel settore dell’archeologia subacquea italiana prevalentemente le seguenti figure:

  • operatori e personale scientifico delle soprintendenze e del MiBAC;
  • studenti, ricercatori e docenti delle Università;
  • professionisti;
  • tecnici e archeologi di imprese e cooperative specializzate.

Gli unici dipendenti statali inquadrati come operatori subacquei sono alcuni tecnici del MiBAC e dell’Assessorato alla Cultura della Regione Sicilia.

I professionisti e le ditte operano per conto di amministrazioni o d’imprese private sotto la direzione scientifica delle soprintendenze locali. Diffusa è la figura dell’archeologo professionista con partita IVA che collabora e dirige imprese di sommozzatori oppure di studi di professionisti associati. Meno frequente è la formula dell’impresa o della cooperativa di sommozzatori con proprio archeologo.


Articolo tratto da:

Beltrame C. (2020) L'archeologo subacqueo. Identikit professionali degli Operatori Scientifici Subacquei. La collana del faro, Il Pianeta Azzurro, 2/2020: 10-13.


L'autore:

 

Carlo Beltrame

Professore Associato di Metodologia della ricerca archeologica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia dove insegna Archeologia marittima e subacquea. Membro del comitato tecnico-scientifico di AIOSS.

Si occupa principalmente di metodologia di studio dei relitti, senza limiti cronologici, ma anche di costruzione navale e traffici commerciali in età antica. Sta coordinando due progetti Interreg Italia-Croazia come partner. Ha organizzato molte missioni subacquee su relitti di età antica, medievale e moderna in Italia e all’estero. Ha all’attivo oltre cento pubblicazioni anche in riviste indicizzate e alcuni libri editi da casa editrici internazionali.